Dipendenze e territorio. 30 anni di intervento nell'Adda Martesana
In programma giovedì 24 settembre il convegno che parte da un "anniversario" per fare il punto sulle azioni territoriali nell'ambito delle dipendenze.
30 anni di impegno contro la diffusione delle droghe. Il territorio è composto da 28 comuni e 320.000 abitanti.
Il convegno sarà occasione di riflessione sui percorsi per un impegno costante dei servizi e del territorio.
Tra i relatori su temi di attualità clinica, epidemiologica e legislativa ci sarà uno spettacolo teatrale per evidenziare i problemi dei giovani e una tavola rotonda che vedrà riuniti i Direttori dei Dipartimenti delle Dipendenze lombardi.
Shakira e Rihanna, nel video Can’t Remember to Forget You, s’impegnano
in languide situazioni bordo-piscina. Cara Delevingne chiama
“mogliettina” Rita Ora e poi ama l’attrice Michelle Rodriguez, ex di Vin
Diesel. Miranda Kerr, uno dei Victoria’s Secret Angels, nonché ex
moglie di Orlando Bloom, trova deliziose le curve femminili e intende
esplorare ogni orizzonte. L’attrice Amber Heard forse sposerà Johnny
Depp ma, fosse per lei, sposerebbe Angelina Jolie. La top Arizona Muse,
dopo aver avuto un figlio a 19 anni, si è tagliata i capelli biondi e ha
avuto una storia con la collega danese Freja Beha Erichsen. Che è una
sorta di efebo caravaggesco ambito dalle compagne di passerella, vedi
Catherine McNeil e Irina Lazareanu, e dalle cantanti, vedi Anna Calvi.
Le campagne pubblicitarie s’adeguano: Adèle Exarchopulos e Léa Seydoux,
dopo il set di La vita di Adèle, affrontano la moda di Miu Miu (Resort
2014); Cara Delevingne (ancora!) e Ondria Hardin, ambigua musa
minorenne, si accarezzano per Yves Saint Laurent Babydoll Kiss &
Blush.
Del resto, già molte le star che hanno esternato la loro
bisessualità, Lady Gaga, Drew Barrymore, Anna Paquin, Megan Fox, Azealia
Banks, Katy Perry, Angelina Jolie, Evan Rachel Wood, Cameron Diaz (noi
italiani, abituati a fondali meno glam, abbiamo i baci di Ambra
Angiolini, le esternazioni di Asia Argento, i dubbi di Arisa). E poi c’è
chi ha fatto marcia indietro, come Lindsay Lohan, che ora si dice
etero-con-sconfinamenti. L’“affollamento” è tale che Stephanie Theobald,
giornalista e scrittrice inglese, seraficamente lesbica finché non s’è
innamorata (ricambiata) di Jake Arnott, scrittore e attivista gay-bisex,
ha dichiarato al Guardian che la confusione sotto i cieli a questo
punto è tanta. E non solo per colpa sua (che in passato ha usato il
trucco di iniziare le interviste dichiarandosi lesbica, per cui le star
intervistate, pur se ufficialmente etero, hanno svelato stati d’animo
che altrimenti sarebbe stato arduo estorcere). Ms Theobald rivela che
sta diventando faticoso frequentare i club per sole signore, pieni come
sono di fanciulle etero o flexisexual, che cercano il brivido dopo aver
sistemato la vita con un partner (e aver fatto marciare per le strade le
lesbiche old-school). Niente di personale: è che troppe hanno capito
che la dolce vita oggi è saffica, e che il femminismo ha convinto le
fanciulle a considerarsi reciproche fonti di piacere e non di minaccia.
Peccato che poi molte etero siano così noiose a letto... La Theobald si
diverte con definizioni di fresco conio: “strategic lesbianism” e “new
oestrogen-only renaissance”.
S’impone
una domanda. Le “Bi Cool”, come le chiama il settimanale francese Le
Nouvel Observateur, e cioè le bisessuali trendy, perché sono “solo” così
chic? Meglio detto: ciò che è elegantemente eccitante nel caso delle it
girls perché è ipocrita e opportunistico quando coinvolge comuni
mortali, soprattutto se maschi? Non per nulla esiste la parola
“bifobia”. «Forse parecchie bi-girls incarnano strategie di marketing.
Ma è un’operazione che funziona, è innovativa: la gente si ricorda di
più di un bisessuale che di un omosessuale, il bisex vive in quel limbo
di incertezza in cui ci rispecchiamo, in cui stanno tutte le cose
sospese», riflette Annalisa Pistuddi, psicoterapeuta e sessuologa. «In
più, le ragazze oggi vivono in un mondo di solitudine, non si sentono
accudite dal coetaneo maschio». Ma c’è chi la vede diversamente. «Sono
piacevolmente sorpreso dai tanti adolescenti e giovani adulti che oggi
si dichiarano spontaneamente bisex, cooperando alla destrutturazione
degli stereotipi», dice Alessandro Taurino, ricercatore di psicologia
clinica all’Università di Bari. «Le nuove generazioni attraversano
universi emotivi, si autoesplorano. Cercano nei loro vissuti il modo di
far collimare il passaggio dall’orientamento sessuale (non per forza
dicotomico, eterosessuale/omosessuale) alla sua interiorizzazione. E le
ragazze oggi si autoesplorano più dei maschi. Quanto a quelle famose,
sì, forse c’entra la moda, ma è utile alla comprensione non sessuofobica
del desiderio, del poter desiderare l’uno e l’altra. La moda ha il
dovere di esser sconcertante, destrutturante».
I numeri dicono
che nel 2013 su 1197 persone LGBT in Usa ben 479 si sono identificate
come bisex (398 gay, 277 lesbiche, 43 trans); in Inghilterra le donne
che “sperimentano” sono quadruplicate in 20 anni; dati Istat 2012 alla
mano, un milione di italiani si dice gay e bisex; il 20% delle ragazze
francesi l’anno scorso ha confessato l’attrazione per una donna; il 2-6%
della popolazione mondiale sarebbe bisex. Taurino ride alle cifre.
«Molti adolescenti preferiscono dirsi bisex fino al primo rapporto
sessuale, e questo denota apertura. Parecchi di loro diventeranno adulti
capaci di vivere dimensioni autonome. Certo, possono subentrare
difficoltà nel costruire un rapporto, una coppia deve sapersi
rinegoziare passando oltre l’affermazione del singolo. E il terapeuta
può incontrare malesseri che rimandano a una bifobia interiorizzata,
quella che fa dire “come mi comporterò coi miei figli”?».
La
bifobia ci porta a un altro discorso, oggi attuale, che comprende e
supera la bisessualità. Quello sulla fluidità. Il concetto, studiato
qualche anno fa dalla psicologa Usa Lisa Diamond, trovava spazio in un
bel libro, Sexual Fluidity: Understanding Women’s Love and Desire. La
Diamond diceva che l’amore e il desiderio femminili non sono rigidamente
eterosessuali o omosessuali, bensì cangianti e mossi dall’attrazione
più per una persona che per un genere. Le donne possono, per amore e/o
per desiderio (che spesso non coincidono), cambiare più volte identità
sessuale. Ciò spiegherebbe la maggior confidenza con la bisessualità. Ma
non del tutto, perché pure questa è un’identità, trascesa dalla
fluidità. La Diamond, lesbica, decise di simpatizzare con l’attivismo
bisex. Che oggi le ricambia la cortesia. E la proclama madre putativa di
nuove analisi che rivendicano non solo la visibilità “scientifica”
della bisessualità maschile, ma anche della fluidità maschile, così
misconosciuta. Sarà il momento dell’imprenditorialità sessuale, sarà che
la crisi ci insegna che la vita, pure quella dei sensi, è susseguirsi
di contratti a termine, ma sta di fatto che le it girls hanno aperto la
porta alla consapevolezza dei coetanei e persino dei maturi attivisti
californiani dell’Abi, American Institute of Bisexuality. Lo spiega il
The New York Times, ricordando come, fino a pochi anni fa, i sessuologi
negavano bisessualità e fluidità maschili sottoponendo volontari gay
alla visione di fimini porno con attrici che intristivano più che
intrigare. Poco da bi-eccitarsi... Peccato che la neofluidità,
ambosessi, rischi di invecchiare sul nascere. Sia il tuffatore olimpico
Tom Daley, sia l’attrice Maria Bello hanno fatto un outing contemporaneo
che non tira in ballo né bisessualità, né fluidità. Hanno parlato solo
di qualità della vita di coppia, libertà nel trovare piacevole, adesso e
poi chissà, un corpo e un’anima. In linea con Chirlane McCray, ex
lesbica, moglie di Bill de Blasio, che definisce casse da morto le
categorie sessuali. Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista,
raccoglie le fila: «Il complesso rapporto tra sessualità e identità può
generare sofferenza, soprattutto se non si riesce a elaborare
l’inevitabile malinconia che ogni rinuncia porta con sé. L’identità
implica un lutto, ma ti premia con la stabilità. Essere sempre nomadi
nel desiderio può produrre una tensione troppo forte». Ma gli
adolescenti oggi parrebbero sentirla meno, tale sofferenza… «La
bisessualità di molti adolescenti può anche esser “virtuale”, legata
alle finzioni delle vite online. Vero, però, che il tema misterioso
della bisessualità si presta bene a illustrare come le varianti della
sessualità pongano una sfida alla psicologia: quella di dover
considerare categorie che descrivono comportamenti e al tempo stesso
riconoscere l’unicità biografica dei percorsi della sessualità». Persino
Cynthia Nixon, la Miranda di Sex in the City, due figli con un marito e
un figlio con una moglie, una che delle categorie non ha mai avuto
paura, ha ammesso di non saper cosa dire di sé. La vita gliela hanno
costruita le persone che ha incontrato, e poi l’etichetta bisessuale non
piace a tutti. Maria Bello può permettersi maggior creatività: si è
definita “whatever”.
A ME STA BENE COSÌ Nadja
Ferazi, radiologa, 39 anni, statunitense, racconta: «La mia prima volta
è stata al college. Niente d’insolito. Tant’è che molti pensano alla
“confusione” giovanile. Ma la notte con la mia compagna di dormitorio
mi fece provare qualcosa di tutt’altro che confuso: conoscenza,
comunanza e familiarità, e nessuna ansia da performance. Il sesso con
una donna è diverso dal sesso con un uomo. E mi piacciono entrambi. Non
faccio confusione. Ma le ragazze lesbiche fanno resistenza ad accettare
questa consapevolezza: vorrebbero che mi schierassi. Ho avuto una sola
relazione con una donna, dopo il divorzio da mio marito: lei non
sopportava che trovassi interessanti gli uomini e voleva convincermi che
ero gay anch’io. Non l’ho lasciata “per” un uomo, ma si è sentita
“tradita” lo stesso, perché la mia storia successiva è stata
eterosessuale. Da allora sono chiara dall’inizio: i miei appetiti
vanno in entrambe le direzioni e a me sta bene così. Con gli uomini ho
un altro problema: mi propongono subito un rapporto a tre, coinvolgendo
un’altra donna. Certo, non è facile vivere questa sessualità alla luce
del sole: si è percepiti come difficili da inquadrare, e molti si
spaventano. Ma dire sempre la verità sradica i pregiudizi. Testimonianza raccolta da Gloria Mattioni
Sesso in camera sua? Negli Usa si scatenano i puritani, da noi si cercano nuove regole dell’intimità di Elisabetta Muritti
Davamo per scontato che i teenager facessero l’amore in camera loro.
Quando non ci siamo, quando fingiamo di dormire. Ci sbagliavamo. Il
“sesso in cameretta” sta infatti scatenando un putiferio negli Stati
Uniti, strano paese dove gli adolescenti diventano periodicamente
un’emergenza nazionale. Grossomodo tutto è iniziato quest’estate, quando
Henry Alford, noto umorista gay titolare di una rubrica di “buone
maniere” sul The New York Times, ha scritto un gustoso articolo
intitolato Sex in a Teenager’s Room?. Sosteneva che una delle tante
gioie del non avere figli è quella del non dover fronteggiare la bomba
ormonale dell’adolescenza. Gioia più grande ancora, poter ignorare la
sottile diplomazia dei cosiddetti “sleepovers” (eufemisticamente:
l’andare a dormire a casa di altri), «Pronto?, buonasera signora, sì,
Martina è qui, ma no, non disturba», «Pronto?, buonasera signora, no?,
Martina non dorme lì da voi con Giulia?, mah, avrò capito male».
Alford
depreca le 14enni che vivono col boyfriend a casa di mamma, la quale,
tra l’altro, paga ginecologo e contraccettivi. E detesta le 16enni
viziate col letto a due piazze per stare più comode: «Ma come?, sono
troppo piccole, è così bello stare in pigiama di felpa e ignorare i nomi
tremendi di tutte le malattie sessualmente trasmissibili».
E
allora? Allora, racconta, ognuno fa quel che può. C’è chi abbozza,
meglio la promiscuità domestica che quella sessuale, almeno sa che la
pargola è monogama e prende la pillola. C’è chi rimpiange le ampie case
borghesi di una volta, le feste dei weeekend, le camere degli ospiti,
sabato notte ognuno aveva chi “visitare” e poi tornava nel suo letto, e
sai che eleganza... E c’è chi, per fortuna, sa che il segreto sta tutto
nell’assicurare e pretendere pari dosi di privacy. Alford, dopo aver
preso le distanze da Angelina Jolie, fiera quando racconta che a 14 anni
aveva traslocato in cameretta il boyfriend poco più grande di lei
(dicono che a 16 anni si fosse già stufata di far la mogliettina, e
andasse in giro a rivendicare la sua realizzazione professionale... ),
racconta di una sua amica divorziata assai intelligente. Il moroso di
sua figlia le dormiva troppe notti in casa, e le cose potevano solo
peggiorare, perché lei era ancora all’ultimo anno di liceo, ma lui, che
avrebbe potuto andare all’università, aveva optato per l’anno sabbatico.
Previa consultazione della “consuocera”, ha dettato le sue condizioni:
lei si sarebbe impegnata a ospitare il ragazzo per un anno, a patto che
la figlia ottenesse buoni voti e l’ingresso in un college prestigioso, e
che il ragazzo si accollasse alcune incombenze domestiche, lo
smaltimento della spazzatura, la pipì del cane, soprattutto il bucato
delle lenzuola e delle salviette usate dalla coppia. Ah, sì, avrebbe
anche dovuto cercarsi un lavoretto, per non ciondolare in salotto quando
tutti erano fuori. Risultati? Ottimi: il “piccolo genero” ha rispettato
i patti e poi scelto la sua strada universitaria, la ragazza è stata
promossa bene, e la signora si è guadagnata la fama di una tosta da
rispettare.
«Chissà se sarebbe stata capace di negoziare con un
figlio suo... Comunque apprezzo: ha invitato i due a conquistarsi il
loro spazio nel mondo e ha inviato un messaggio chiaro, io non voglio
sapere niente della vostra intimità, ma voi non dovere invadere la mia»,
approva Annalisa Pistuddi, psicologa e psicoterapeuta.
«Una donna flessibile, capace di salvaguardare gli spazi di tutti, di
muoversi in modo produttivo nel tempo e nello spazio di ognuno. Ha
capito che i teen amano la chiara esplicitazione dei limiti relazionali,
con loro non funziona il battibecco sterile, “non fare questo”, “non
fare quello”... E ha fornito a due giovani la grande opportunità di
sdebitarsi, e dunque di vivere da adulti. Prassi molto americana... ».
Già, l’America. Invece di far tesoro dell’umorismo politicamente scorretto di Mister Alford, ha dato il via a un dibattito infuocatissimo.
Dove imbarazzo e preoccupazione, sentimenti comprensibili e universali,
in realtà stanno contando assai poco. Perché se è vero com’è vero che
oggi sono diventati genitori coloro che hanno messo a profitto (o
ereditato) la rivoluzione sessuale, e che quindi arrivano sul tavolo
della contrattazione ricordi, rimpianti, indecisioni sul perché e il
percome, “non è che gli stiamo facilitando troppo le cose?... ”, ci
mette in guardia Marco Rossi, psichiatra e sessuologo
molto apprezzato dai teenager: «Il background di qualsiasi genitore,
progressista o conservatore, è sempre lo stesso: arriva quel momento e
ogni padre e ogni madre entra in crisi, fa fatica. È un rito di
passaggio, un’adolescenza per tutti quanti, grandi e piccoli. È il
segnale di una separazione in atto. L’unica cosa importante è sapere che
un figlio, una figlia, il sesso arriverà comunque a farlo, e che lo
farà dove capita». Riflette: «Madri e padri vengono da una generazione
più o meno liberata, sanno bene che se il divieto sessuale una volta
insegnava un valore, oggi è solo un atto di ipocrisia. Cosa vietare in
un mondo dove tutti fanno tutto? Meglio dar buoni esempi».
Senz’altro, tutto questo lo possiamo capire. Eppure, sull’Huffington Post, Soraya
Chemaly, attivista e blogger femminista, si è guadagnata l’accusa di
istigare i genitori a spalancare le porte di casa alla fornicazione,
e poi quella di non aver capito niente, mai concedere ai giovani maschi
idioti di oggi il lusso di una lunga e “safe” vita sessuale nella loro
cameretta, già c’è la crisi a tenerli incollati ai genitori, e perché
poi dovrebbero aver voglia di andarsene per conto loro, sposarsi, essere
monogami, aver dei figli?
I più bigotti hanno predicato la consueta
“Abstinence-Only Sex-Education”, che, ovvio, risolve alla radice il
problema. Ma risveglia la mai sopita querelle: America puritana contro
Europa debosciata, soprattutto se del Nord. E qui il capro espiatorio
diventa Careen Shannon, avvocato e pubblicista a New York, che ha
raccontato su Salon.com di quando, 17enne degli anni 70, vinse una borsa
di studio di un anno in Danimarca, notorio Eldorado del libero amore in
libera casa. Bene, se venivano a trovarla lì, i suoi genitori
tolleravano che lei dormisse con Peter e che lui si presentasse la
mattina a mangiare i corn flakes come se nulla fosse; ma quando poi
Peter l’andò a trovare negli Usa, fu costretto al divano-letto nel
basement (e, il giorno dopo, a una vacanza on-the-road con la
fidanzatina). Il ricordo consente all’avvocato Shannon di rinverdire le
vendite di un libro che aveva già avuto discreto successo quand’era
uscito un paio d’anni fa, Not Under My Roof, scritto da Amy T. Schalet, pluripremiata sociologa esperta di sessualità teen,
nata in America ma cresciuta in Olanda, altro Eldorado similare, dove i
suoi si erano trasferiti per lavoro. La Schalet confronta due tipi di
educazione sessuale e di famiglia, prendendo smaccatamente le parti di
quella che considera la via-olandese-alla-serenità. Sì, certo, i
ragazzini dei Paesi Bassi fanno l’amore a casa loro senza problemi, sai
che scandalo, in compenso l’Olanda è un Paese dove le gravidanze
indesiderate sono pochissime (al contrario che negli Usa), gli
adolescenti parlano soavemente di sesso coi genitori, e i rapporti tra
maschi e femmine sono enormemente più equilibrati e paritetici che in
America. Noia o invidia? Alla Schalet, pur nel suo fervore -applaudito,
con distinguo, da chi teme i danni della “hook up culture” (sesso mordi e
fuggi) e dalle penne progressiste di Slate.com-, non sfugge che si
fronteggino pure due modi opposti di intendere la politica sociale e
l’assistenza sanitaria.
E noi italiani? Più americani o più olandesi?
Lasciando da parte le esagerazioni puritane, dipende. Dai pudori,
dall’educazione ricevuta. «Per me è un argomento parzialmente naturale
(al 25%) e al contempo molto imbarazzante (al 75%)», confessa Marco D.,
54 anni, medico affermato, tre figli tra i 18 e i 14 anni, rigida
educazione cattolica alle spalle. «Non se ne parla neanche che i pargoli
facciano l’amore a casa: non lo trovo giusto, non sta scritto da
nessuna parte, certe cose se le devono conquistare. La famiglia non è
un’istituzione democratica, non è una comune, io e mia moglie, decidendo
di far crescere altre persone, abbiamo molto limitato la nostra
libertà, e così dev’essere anche per i nostri figli... Sì, lo so, la
loro sessualità mi spaventa, forse perché tira fuori certe mie
inadeguatezze... ».
Diverso lo stato d’animo di Stefania S., stessa
età, manager di una multinazionale, figlia di genitori spontanei
sull’argomento: «È stato imbarazzante solo la prima volta che il
“problema” s’è presentato. Mio figlio aveva 19 anni, stava da tempo con
una coetanea. Torno a casa un pomeriggio a un’ora per me insolita e mi
accorgo che sono chiusi in camera. Invece che uscirmene con la scusa di
una commissione, e dar ai due il tempo di ricomporsi, me ne sto in
cucina a far finta di preparare la cena, ma insomma, questa è anche casa
mia, no?». Ride: «Mio marito non me l’ha mai perdonata, dice che sono
stata crudele, lì ad aspettare che si presentassero con la faccia
rossa... È che io non sapevo cosa fare, ma lungi da me l’idea di
contestare la loro intimità».
Inteviene Annalisa Pistuddi: «Un figlio
non va spaventato con le nostre paure, il suo erotismo non dovrebbe
inquietarci, il sesso è una cosa normale. Che chiede però
responsabilità. Ma non va neppure “violentato” dal presunto progressismo
dei genitori, che tra l’altro è spesso una forma nascosta, anzi,
esplicita, di controllo. La sua sessualità non va pilotata. Ciò costa
fatica? Richiede contrattazioni? Necessita di un po’ di antiquato fair
play (a certi padri non dispiacerebbe che il partner se la filasse
all’inglese alle 6 del mattino, per consentire alla famiglia docce e
caffè in santa pace... ). Certo, costa. Ma fa parte dei rischi
quotidiani, non si può tener tutto sotto controllo». Aggiunge Marco
Rossi: «Quello che noi italiani non dovremmo mai fare è quello che da
sempre ci riesce meglio: cadere dalle nuvole. Non sappiamo se nostro
figlio ha già fatto l’amore e dove? Vuol dire che ci siamo già persi dei
passaggi fondamentali, che non siamo riusciti ad allearci con lui, a
dargli delle informazioni. Ma direi che la cosa essenziale è esserci, a
casa, quando occorre: il sesso è solo il primo gradino, è quello che una
volta era il bacio, prima o poi arrivano le pene d’amore, e quindi le
nottate in piedi ad ascoltare drammi e asciugare lacrime».
REGOLE MINIME
A
volte i genitori devono sapersi opporre. Quando? «Quando scoprono che
il figlio porta la fidanzata nel lettone coniugale, vietato, ognuno in
casa deve avere la sua stanza dei giochi. O quando il partner è
sconosciuto, ed è stato fatto di tutto per non farlo vedere a nessun
familiare. O quando la figlia 18enne s’incontra con un cinquantenne, non
per la cosa in sé, ma perché bisognerebbe prima capire che cosa c’è
sotto. O quando il ragazzo è troppo smaccato: non mi piace se dice
“stasera non mi rompete le scatole, perché devo... ”, sono tecniche che
simulano una sorta di amicizia cameratesca a cui sono contrario, elenca
il sessuologo Marco Rossi. «Ma non si sottovaluti il sottinteso
messaggio provocatorio: è come se il figlio ci dicesse “ma insomma,
questo spazio è anche mio, non hai sempre detto che questa è casa
mia?”», sorride la collega Annalisa Pistuddi.
Dall'inserto DBeauty in edicola fino al 15 dicembre,
con tutto il meglio del mondo beauty, ecco chi sono le beauty vlogger,
cosa raccontano di sé e cosa pensa una psicoterapeuta e psicoanalista
di questo fenomeno che arriva dall'America e dalla Francia GUARDA TUTTI GLI ARTICOLI DI DBEAUTY
di Elisabetta Muritti
I francesi le hanno battezzate con grazia youtubeuses beauté, più prosaicamente la lingua inglese le definisce beauty vlogger.
Ma in ogni angolo del Pianeta colpisce l’età, ogni volta più tenera,
di queste minuscole giornaliste di bellezza che postano (e
interpretano) tutorial coi loro consigli di trucco,
pettinature, cure per viso e corpo, il tutto condito da scorci di
innocenti camerette... Incantevoli o irritanti? Poco importa.
L’essenziale è che non si facciano del male, perché sono davvero
piccole, talvolta persino meno di 10 anni. E sono tante: l’empowerment mediatico
delle ragazzine è diventato una torta squisita, ormai tagliata in
innumerevoli fette (sotto i 13 anni non si potrebbe creare un account
YouTube, ma spesso i genitori se ne fanno garanti).
Qualche dato: il fenomeno delle beauty vlogger della scuola dell’obbligo è esploso negli ultimi due anni, specie nella fascia 9-15 anni, con più di 120 milioni di video cliccati ogni giorno e migliaia di seguaci, più o meno coetanee, che seguono con fedeltà queste media star in miniatura. Paesi d’elezione: gli Usa (arrivano a 12 milioni di seguaci e a 60 di visualizzazioni) e la Francia
(fascia d’età tra 13 e 25 anni, totalizzano tra i 70 e i 700mila
abbonati). Ma più che il numero, forse ora inquietano la loro serietà e competenza.
Queste fanciulle sanno tutto, conoscono ogni novità, soprattutto dei
marchi più consoni alla loro età e alla loro paghetta. Hanno una
visione, per così dire, scientifica e del make up, padroneggiano gli ingredienti chimici e i fondamentali più ostici e professionali.
Racconta Giulia, 13 anni,
che ha già programmato il suo curriculum (liceo linguistico,
giornalismo, accademia di make up a New York) e che dalle elementari ha
giocato con i lucidalabbra: «Fin da piccola ho capito il meraviglioso
potere della cosmetica, ti cambia, ti fa sembrare un’altra persona.
Quanto alla diffusione dei miei tutorial, non ho ancora deciso se
postarli o no, perché le beauty vlogger oggi sono troppe e spesso
pubblicano cose che gli adulti trovano poco serie». Lei stravede per
correttori e fondotinta, per ciò che c’è ma non si vede. «Lo so, noi
ragazzine dovremmo essere più creative, invece abbiamo una mente
tecnica. Certo, la teoria non è tutto, ma se ne sei priva non sei
autorevole».
Le fa eco Laura, 19 anni, che a 13
era beauty vlogger e che a un certo punto ha smesso di pubblicarsi. A
scuola le compagne la prendevano in giro, forse era invidia, lei giura
di non aver sofferto, le importa il giudizio della sua famiglia, non
degli altri. «Volevo confrontarmi, era un divertimento, un diario, uno
sfogo. E un interesse. A casa mi seguivano, il papà mi ha regalato il
cavalletto, la mamma qualche trucco in più. Usavo una videocamera,
l’iPhone non c’era. È un bel fenomeno», riflette, «la “piazza” è
pulita, le ragazzine a volte ricevono i prodotti dalle aziende, ma
dicono ciò che pensano, sono sgamate. E così portano qualcosa di
lussuoso nella quotidianità delle persone normali. Vivono e offrono
opportunità».
Ascoltando Giulia e Laura ci si accorge quanto siano determinanti il desiderio di condivisione e la cura della reputazione. Rischi? Annalisa Pistuddi, psicoterapeuta e psicoanalista, ha seguito da vicino la marcia trionfale della figlia di un’amica, Vanessa (che ha debuttato 17enne con il suo MagicoTrucco su YouTube, oggi 15mila visualizzazioni).
«Tutto positivo, a patto che resti un gioco. Per i genitori potrebbe
essere l’occasione per entrare in questo nuovo modo di comunicare, e
capire meglio come si muove oggi una figlia. Per le ragazze potrebbe
essere una palestra di autoaffermazione, lo stratagemma per proporsi
agli altri senza il pericolo “fisico” della risposta immediata del
gruppo. Così imparano presto a muoversi: ormai, se crescono secondo un
modello troppo statico non creano interazione e non guadagnano fan».
Diciamocelo, queste youtubeuse
non sono più bambine, secondo i canoni contemporanei sono già
adolescenti. C’è però l’altra faccia della medaglia: l’illusione del
successo, l’incapacità di tollerare il fallimento con conseguenti
frustrazioni, l’obiettivo di raggiungere un grande pubblico che può
generare un vuoto altrettanto grande».