giovedì 4 febbraio 2021

work addiction 1 puntata

 

Dipendenza da lavoro

 

Di Annalisa Pistuddi

 

In queste pubblicazioni cercheremo di mettere luce su un problema che sembra, a prima vista, essere un prodotto della società dei consumi e centrato sull’immagine del ruolo sociale piuttosto che sull’essenza dell’individuo.

Il fattore tempo viene anche valutato, sotto questa luce, in termini economici e perde il senso della libertà, assumendo valore se “gestito” in modo da produrre qualcosa di concreto.

Così le emozioni lasciano il posto alle cose e i valori agli averi, sembra che la condizione di benessere di un individuo e il suo riconoscimento sociale si sia trasformato in considerazione misurata in possedimenti.

C’è di più, se ci soffermassimo solo sulla voracità finanziaria rischieremmo di trascurare una parte importante del problema di dipendenza dal lavoro, lo stato di malattia.

Negli anni ’70 si inizio’ a parlare di questo tema, definendo che la persona il cui bisogno di lavorare diventa eccessivo, crea disagi nelle relazioni, nella famiglia, nella salute fisica e nella sua integrazione sociale può trovarsi in uno stato da dipendenza da lavoro.

Tale sintomatologia può sottendere anche un disturbo legato alla sfera psichica dell’individuo ed estrinsecarsi con la sintomatologia di eccessiva dedizione alle attività lavorative.

Sembra, qualche attento osservatore ha sostenuto, che possa trattarsi di una delle manifestazioni di un disturbo che assomiglia alla complusività, con richieste che l’individuo stesso si impone fino ad arrivare ad annullare gli altri bisogni e  le altre attività.

Questi comportamenti possono essere presenti anche per brevi periodi della carriera lavorativa oppure essere oscillanti e comparire in alcuni momenti ma producono comunque un disagio e un’insoddisfazione costante di fondo per le proprie prestazioni.

Spesso, nelle situazioni che raggiungono un importante livello di gravità, non si raggiunge il successo sperato e si rimane sempre nella condizione in cui manca qualcosa per raggiungere il prossimo risultato.

La condizione patologica non sembra assimilabile alla motivazione di costruire la propria posizione lavorativa e per la quale si possono fare scelte di rinuncia o di formazione mirata oppure di esperienze utili alla carriera, spesso nella condizione di malattia l’idea di una pianificazione di crescita professionale è poco presente e anche poco incisiva.

Il bisogno, sembra essere quello di alleviare sensazioni spiacevoli circa la propria condizione emotiva, i problemi di autostima, per citare un esempio, vengono momentaneamente mitigati dall’eccesso del fare che non riguarda però l’essere.

Sembra essere presente nell’individuo un sottofondo convincente che riesce a permeare le idee di chi gli sta intorno (famigliari e amici): sviluppare le capacità lavorative e ciò che il proprio ruolo richiede è sicuramente la strada che lo può aiutare a trovare anche la realizzazione personale.

La dipendenza da lavoro viene chiamata anche workaholism, termine mutuato dalla dipendenza da alcol (alcoholism), chi ne è affetto si definisce anche workaholic.

Il termine si riferisce alle prime ricerche e si è evoluto con gli studi effettuati sui casi clinici giunti all’osservazione degli esperti del settore, nelle moderne calssificazioni si usa l’espressione work addiction.

Ma come per le altre dipendenze non legate all’uso di sostanze psicoattive sembra avere un’evidenza minore anche nell’ambiente e in famiglia.

Talvolta viene apprezzato dai datori di lavoro che i dipendenti siano dediti e affezionati alla loro attività, vengono così trascurati i casi di sofferenza e di disagio sociale e relazionale che possono spesso produrre problemi anche all’interno dell’organizzazione aziendale.

C’è da sottolineare che, da qualche decennio e in particolare in momenti di crisi economica, il lavoro stia assumendo un ruolo necessario alla sopravvivenza delle famiglie e spesso viene valorizzato il lavoratore indefesso.

Purtroppo a volte la situazione degenera, producendo in alcuni casi anche sfruttamento delle mansioni e mancanza di tutela dei diritti principali del lavoratore.

Alcuni soggetti sembrano avere le caratteristiche di personalità e di trovarsi nelle condizioni che portano agli eccessi.

C’è da comprendere come mai alcuni sono disponibili ad eccedere fino ad arrivare a compromettere la propria condizione psico-fisica, le proprie relazioni e anche la propria intimità e  sostenere ritmi frenetici e livelli di competizione per obiettivi che sono a loro stessi non proprio chiari e definiti.

A differenza dei cosiddetti carrieristi, i malati non hanno ben chiaro dove vogliono e possono arrivare e le energie che mettono in gioco sembrano sempre eccessive rispetto al compito che è stato affidato loro.

Non hanno in mente una pianificazione della propria carriera, spesso danno l’idea di accontentarsi di piccolo gratificazioni, a volte sembrano non essere interessati più di tanto agli incrementi del proprio reddito.

In queste pubblicazioni si vorrebbe intensificare la ricerca su queste problematiche e trasmettere ai lettori un’idea più chiara di quale potrebbe essere il confine tra produttività ed eccesso inutile.

Quell’eccesso che sottende una serie di azioni fine a se stesse e che non hanno un sottofondo di gratificazione per l’individuo ma che possono servire spesso a colmare delle mancanze emotive.

La diagnosi e la presa in carico dello stato emotivo e della sofferenza che sottende una dipendenza da lavoro è sempre da demandare agli specialisti del settore, psicologi psicoterapeuti o psichiatri.

Ci sono situazioni che possono essere migliorate prima che degenerino e che la sofferenza debiliti il soggetto a tal punto da produrre un effetto negativo anche sul suo ruolo lavorativo.

E’ difficile che il primo ad accorgersi di questo stato emotivo sia lo stesso soggetto che manifesta il disagio, pertanto è importante che nel percorso possano essere coinvolti i famigliari, a volte però si tratta di casi in cui la solitudine relazionale è proprio uno dei disagi emergenti.

Il pericolo è che la persona perda di vista la propria vita e che la colmi di compiti ripetitivi senza scopo ma con il fine inconscio di coprire uno stato emotivo di insicurezza relazionale.