https://www.federserd.it/files/download/Mission55_onlineDEF.pdf
Argomenti di attualità, cultura, psicologia, costume, moda. INFO: apistuddi@gmail.com
mercoledì 18 agosto 2021
trattamento psicologico di gruppo in carcere: detenuti, dipendenza da sostanze, psicodramma analitico e musicoterapia
giovedì 13 maggio 2021
IL SONNO E I COMPORTAMENTI EROTICI
lunedì 10 maggio 2021
giovedì 25 febbraio 2021
giovedì 4 febbraio 2021
work addiction 1 puntata
Dipendenza da
lavoro
Di Annalisa Pistuddi
In queste pubblicazioni cercheremo di mettere luce su un
problema che sembra, a prima vista, essere un prodotto della società dei
consumi e centrato sull’immagine del ruolo sociale piuttosto che sull’essenza
dell’individuo.
Il fattore tempo viene anche valutato, sotto questa luce,
in termini economici e perde il senso della libertà, assumendo valore se
“gestito” in modo da produrre qualcosa di concreto.
Così le emozioni lasciano il posto alle cose e i valori
agli averi, sembra che la condizione di benessere di un individuo e il suo
riconoscimento sociale si sia trasformato in considerazione misurata in
possedimenti.
C’è di più, se ci soffermassimo solo sulla voracità
finanziaria rischieremmo di trascurare una parte importante del problema di
dipendenza dal lavoro, lo stato di malattia.
Negli anni ’70 si inizio’ a parlare di questo tema,
definendo che la persona il cui bisogno di lavorare diventa eccessivo, crea
disagi nelle relazioni, nella famiglia, nella salute fisica e nella sua
integrazione sociale può trovarsi in uno stato da dipendenza da lavoro.
Tale sintomatologia può sottendere anche un disturbo
legato alla sfera psichica dell’individuo ed estrinsecarsi con la
sintomatologia di eccessiva dedizione alle attività lavorative.
Sembra, qualche attento osservatore ha sostenuto, che
possa trattarsi di una delle manifestazioni di un disturbo che assomiglia alla
complusività, con richieste che l’individuo stesso si impone fino ad arrivare
ad annullare gli altri bisogni e le
altre attività.
Questi comportamenti possono essere presenti anche per brevi
periodi della carriera lavorativa oppure essere oscillanti e comparire in
alcuni momenti ma producono comunque un disagio e un’insoddisfazione costante
di fondo per le proprie prestazioni.
Spesso, nelle situazioni che raggiungono un importante
livello di gravità, non si raggiunge il successo sperato e si rimane sempre
nella condizione in cui manca qualcosa per raggiungere il prossimo risultato.
La condizione patologica non sembra assimilabile alla
motivazione di costruire la propria posizione lavorativa e per la quale si
possono fare scelte di rinuncia o di formazione mirata oppure di esperienze
utili alla carriera, spesso nella condizione di malattia l’idea di una pianificazione
di crescita professionale è poco presente e anche poco incisiva.
Il bisogno, sembra essere quello di alleviare sensazioni
spiacevoli circa la propria condizione emotiva, i problemi di autostima, per
citare un esempio, vengono momentaneamente mitigati dall’eccesso del fare che
non riguarda però l’essere.
Sembra essere presente nell’individuo un sottofondo
convincente che riesce a permeare le idee di chi gli sta intorno (famigliari e
amici): sviluppare le capacità lavorative e ciò che il proprio ruolo richiede è
sicuramente la strada che lo può aiutare a trovare anche la realizzazione
personale.
La dipendenza da lavoro viene chiamata anche workaholism, termine mutuato dalla
dipendenza da alcol (alcoholism), chi
ne è affetto si definisce anche workaholic.
Il termine si riferisce alle prime ricerche e si è
evoluto con gli studi effettuati sui casi clinici giunti all’osservazione degli
esperti del settore, nelle moderne calssificazioni si usa l’espressione work addiction.
Ma come per le altre dipendenze non legate all’uso di
sostanze psicoattive sembra avere un’evidenza minore anche nell’ambiente e in
famiglia.
Talvolta viene apprezzato dai datori di lavoro che i
dipendenti siano dediti e affezionati alla loro attività, vengono così
trascurati i casi di sofferenza e di disagio sociale e relazionale che possono
spesso produrre problemi anche all’interno dell’organizzazione aziendale.
C’è da sottolineare che, da qualche decennio e in
particolare in momenti di crisi economica, il lavoro stia assumendo un ruolo
necessario alla sopravvivenza delle famiglie e spesso viene valorizzato il
lavoratore indefesso.
Purtroppo a volte la situazione degenera, producendo in
alcuni casi anche sfruttamento delle mansioni e mancanza di tutela dei diritti
principali del lavoratore.
Alcuni soggetti sembrano avere le caratteristiche di
personalità e di trovarsi nelle condizioni che portano agli eccessi.
C’è da comprendere come mai alcuni sono disponibili ad
eccedere fino ad arrivare a compromettere la propria condizione psico-fisica,
le proprie relazioni e anche la propria intimità e sostenere ritmi frenetici e livelli di
competizione per obiettivi che sono a loro stessi non proprio chiari e
definiti.
A differenza dei cosiddetti carrieristi, i malati non
hanno ben chiaro dove vogliono e possono arrivare e le energie che mettono in
gioco sembrano sempre eccessive rispetto al compito che è stato affidato loro.
Non hanno in mente una pianificazione della propria
carriera, spesso danno l’idea di accontentarsi di piccolo gratificazioni, a
volte sembrano non essere interessati più di tanto agli incrementi del proprio
reddito.
In queste pubblicazioni si vorrebbe intensificare la
ricerca su queste problematiche e trasmettere ai lettori un’idea più chiara di
quale potrebbe essere il confine tra produttività ed eccesso inutile.
Quell’eccesso che sottende una serie di azioni fine a se
stesse e che non hanno un sottofondo di gratificazione per l’individuo ma che
possono servire spesso a colmare delle mancanze emotive.
La diagnosi e la presa in carico dello stato emotivo e
della sofferenza che sottende una dipendenza da lavoro è sempre da demandare
agli specialisti del settore, psicologi psicoterapeuti o psichiatri.
Ci sono situazioni che possono essere migliorate prima
che degenerino e che la sofferenza debiliti il soggetto a tal punto da produrre
un effetto negativo anche sul suo ruolo lavorativo.
E’ difficile che il primo ad accorgersi di questo stato
emotivo sia lo stesso soggetto che manifesta il disagio, pertanto è importante
che nel percorso possano essere coinvolti i famigliari, a volte però si tratta
di casi in cui la solitudine relazionale è proprio uno dei disagi emergenti.
Il pericolo è che la persona perda di vista la propria
vita e che la colmi di compiti ripetitivi senza scopo ma con il fine inconscio
di coprire uno stato emotivo di insicurezza relazionale.
domenica 31 gennaio 2021
chirurgia estetica e seduttività femminile
CHIRURGIA ESTETICA E SEDUTTIVITA' FEMMINILE
Sicurezza e cambiamenti estetici del corpo della donna
L’esigenza di un
cambiamento del corpo va al di là dell’aspetto estetico. La motivazione
inconscia ha un significato importante.
L'attività percettiva dell'Io lavora in collaborazione con il
sentimento di sicurezza che ci accompagna nella quotidianità.
Intraprendere un percorso chirurgico comprende delle aspettative nella
rappresentazione di sé che diventeranno modificazioni dell'aspetto esteriore.
Spesso si pensa che il cambiamento immaginato possa essere incisivo
nel risolvere problemi esterni, relazionali, sociali, non tenendo conto che i
problemi possono essere generati da conflitti interni.
Le fantasie di cambiamento possono suscitare l'idea del raggiungimento
di un proprio ideale e fantasticare successi relazionali grazie all’intervento
ben riuscito.
Soffermandosi sulla parte estetica e sulle fantasie di successo si può
incorrere in scontentezze che vengono attribuite agli altri. Le delusioni
vengono spesso attribuite al lavoro del chirurgo o a qualche possibile
complicazione post-operatoria.
La delusione si manifesta se il paziente si rende conto che la magia
non è avvenuta, che l'aspettativa di diventare seduttiva e desiderabile dagli
altri viene disattesa.
Pertanto occorrerebbe prima di affrontare un intervento fermarsi
a pensare e non seguire l’impulso o i
modelli pronti che si vedono nei social
network ma soprattutto cercare di capire che un dettaglio modificato non
garantisce un miglioramento della bellezza.
I contenuti simbolici di un intervento chirurgico estetico sono
inevitabilmente presenti, ma i guai possono cominciare quando le fantasie e le
motivazioni inconsce non corrispondono alle speranze del paziente riguardo al
risultato inteso in senso globale: se la riuscita non corrisponde alla
risonanza della seduttività.
Il desiderio di cambiamento di qualcosa di estetico è un desiderio
comune a molte donne e non è da considerarsi una manifestazione psicopatologica
tout court.
L'aiuto di uno psicologo può essere d'aiuto nell'evidenziare le
aspettative di un cambiamento incisivo, per escludere psicopatologie
strutturali e, soprattutto, un eventuale disturbo del dismorfismo corporeo.
Il rischio che si corre nel caso di una simile psicopatologia è di
operare una paziente che non sarà poi contenta dell'esito oggettivo, seppur il
risultato sia apprezzabile dal punto di vista chirurgico, in quanto il
cambiamento relazionale e sociale ardentemente
desiderato non è avvenuto.
Gli obiettivi latenti possono essere differenti, e possono emergere
solo dopo un'attenta valutazione psicologica.
L'importanza attribuita alla
propria immagine corporea se risulta eccessiva e porta a trascurare aspetti
fondamentali quali la propria salute, i risultati in ambito scolastico e
professionale, le capacità relazionali.
L'insicurezza che deriva da tali convinzioni può portare da lievi
disagi nei rapporti interpersonali, ad un grave isolamento sociale e
all'insorgere di una marcata sensibilità e di tematiche di riferimento.
Negli ultimi anni si è verificata un'epidemia di chirurgia plastica
fra le adolescenti, le quali vengono spesso sostenute dai genitori per una
sorta di identificazione in loro, che riporta problematiche psichiche relative
alla loro adolescenza, o per desiderio delle ragazze a seguire l'esempio di
un'amica che sembra loro imbellita.
Queste richieste sono spesso anche dettate dall'interesse
eterosessuale, l'avanzare e il ritirarsi conflittuale verso la libertà e la
responsabilità dell'età adulta.
Qualora avvenga la decisione da parte del chirurgo di effettuare
l'intervento e tentare di corrispondere al desiderio di queste tipologie di
pazienti, è assolutamente necessario chiarire quale potrebbe essere il
risultato oggettivo e chiedere di associare oltre ad una accurata valutazione
psicologica anche una psicoterapia.
L'obiettivo della psicoterapia sarà di aiutare la paziente a
riconoscere le emozioni relative all'aspetto fisico e ai significati del cambiamento anelato, non a far demordere
dall'effettuare l'intervento.
giovedì 28 gennaio 2021
martedì 26 gennaio 2021
Gioco d'azzardo e cura
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/05/azzardo-per-aiutare-i-malati-bisogna-conoscere-meglio-i-giochi/1050907/
Azzardo, per aiutare i malati bisogna conoscere meglio i giochi
Per la prima volta saranno messi a confronto i dati delle ricerche del Cnr, che ha studiato il comportamento degli Italiani riguardo alle dipendenze, e l’esperienza dei Sert, i servizi delle Asl che curano le dipendenze, per capire come realmente si stia sviluppando il fenomeno del gioco in Italia e quali siano le migliori strategie per combatterne le derive. All’incontro interverranno gli operatori del gioco per illustrare le differenze tecniche tra i vari giochi. Quindi, approfondiranno l’argomento Sabrina Molinaro, responsabile delle ricerche Espad del Cnr, Annalisa Pistuddi, di Federserd, Marco Pedroni, sociologo e ricercatore dell’Università eCampus, che presenterà una ricerca, condotta per l’Università Cattolica, su come si è sviluppato il gioco legale in Italia tra Stato e imprese responsabili. Amministratori di Regioni e Comuni racconteranno le esperienze realizzate nel proprio territorio nel corso di questi anni. Paola Binetti, relatrice del ddl sul g.a.p. (gioco d‘azzardo patologico) alla Camera, parlerà della normativa nazionale.
lunedì 25 gennaio 2021
domenica 24 gennaio 2021
covid 19 e gioco d'azzardo
lunedì 18 gennaio 2021
DIPENDENZA AFFETTIVA
DIPENDENZA AFFETTIVA, DEFINIZIONI E MANIFESTAZIONI
di Annalisa Pistuddi e Uber Sossi
Uber Sossi,
analista filosofo, è laureato in Scienze della Formazione e specializzato
in Consulenza pedagogica e Pratiche filosofiche. Si
è inoltre formato in Psicosociologia delle organizzazioni ed in Counselling
sistemico costruzionista. Docente di psicologie del profondo presso Scuola Superiore di
Pratiche Filosofiche di Milano. www.scuolaphilo.it
E' tra i fondatori della Società di Analisi Biografica ad Orientamento
Filosofico (SABOF). Autore di testi e articoli nell'ambito della ricerca
psicosociale e delle Pratiche filosofiche, ha come aree tematiche di ricerca:
psicoanalisi e studi di genere, pratiche filosofiche e monachesimo orientale ed
occidentale, ermeneutica simbolica.
Il concetto
Le relazioni umane possono
avvenire in diversi modi, cambiare nel
tempo, possono essere caratterizzate da gradi differenti di dipendenza o
codipendenza dall’altro.
All'inizio di una relazione
affettiva, per esempio nell' innamoramento,
si instaura un rapporto stretto
di dipendenza, quasi simbiotico.
La dipendenza affettiva può
assumere dopo un certo periodo di tempo, una forma patologica di dipendenza. La distinzione tra amore intenso ed amore malato risulta
legato a diversi fattori: sociali, culturali, stadi evolutivi e condizioni di
vita.
Il fenomeno della dipendenza un
tempo era circoscritto alla dipendenza da sostanze stupefacenti o alcol.
In studi recenti si sono
evidenziati comportamenti che sconfinano
in rapporti problematici, per esempio alcune relazioni con cibo, internet,
gioco d’azzardo, sesso, lavoro, rischio
e affetti.
La dipendenza presenta precisi
sintomi psichici e comportamentali caratterizzati da tre fattori principali:
necessità di ripetere in maniera compulsiva
un comportamento di affezione e conseguentemente la perdita della
propria capacità di controllo; resistenza del comportamento nonostante i suoi
effetti disfunzionali sulle dimensioni della vita, con una intensa sensazione
di impotenza di fronte allo stesso; ossessione del comportamento stesso,
attorno al quale ruotano i pensieri e l’intera esistenza del soggetto.
La dipendenza affettiva (DA) è descritta altresì come un forte bisogno di
legame nei confronti di un oggetto da cui dipendere in maniera emotiva e
concreta a tal punto da sviluppare un attaccamento totalizzante e una grande
paura relativamente alla sua separazione.
Il soggetto con DA non si pone consciamente in ascolto dei propri bisogni,
ma il bisogno che esprime è quello di
gratificare il suo bisogno di dipendenza, pertanto apparentemente dedica tutto
sé stesso al partner e ai suoi bisogni, presunti tali da lui stesso.
La relazione affettiva appare dunque assolutamente carente di equilibrio e
reciprocità, ma in realtà anche il suo partner ha il bisogno inconscio di
mantenere tale equilibrio.
Il partner, infatti, instaura, in modo più o meno consapevole, un rapporto
intensamente strumentale, che può durare nel tempo fino a che una delle due
parti non è più appagata da quella modalità relazionale o trova in un altro
oggetto l'espressione più confacente alla propria patologia.
Diagnosi e significato
Il Disturbo Dipendente di personalità è definito, dai manuali
psicodiagnostici, come “una situazione pervasiva ed eccessiva di necessità di
essere accuditi, che determina comportamento
sottomesso e dipendente e timore della separazione”.
Sebbene il quadro caratteristico
della DA sia oggetto di numerose discussioni a livello scientifico, la
letteratura clinica indica che le caratteristiche del soggetto affetto da DA,
che corrispondono al profilo che il manuale internazionale declina per il
Disturbo Dipendente di Personalità:
·
prende con difficoltà decisioni personali, preferendo in tal senso
appoggiarsi all’autorità delle figure da cui dipende (genitore, partner, ecc.);
·
ha bisogno che altri assumano le
responsabilità relativamente ad alla sua vita (sia in termini pratici, quali le
finanze, la conduzione della
quotidianità, che psichici, quali la gestione delle emozioni);
·
esprime con difficoltà il suo disaccordo con gli altri per timore di
perdere la loro approvazione o il loro sostegno;
·
cerca di ottener l'appoggio e l 'aiuto degli altri
a tal punto da accettare l'inaccettabile o di fare cose anche sgradevoli;
·
nega le proprie opinioni ed i propri sentimenti per adeguarsi a quelli
delle persone che lo circondano ed in particolare dalla persona da cui dipende
affettivamente;
·
ha difficoltà nel progettare la propria vita e nell’attivarsi in maniera
autonoma;
·
si sente a disagio o indifeso quando è solo a causa del suo timore di non
essere in grado di far fronte alle cose;
·
quando termina una relazione o viene lasciato, cerca con urgenza un
rapporto sostitutivo che gli possa fornire assistenza e conforto;
·
è irrealisticamente preoccupato per la paura di essere lasciato in balia di
se stesso.
Il soggetto con DA pone al proprio partner
richieste affettive e pratiche consistenti e precise, tendendo a non sentirsi
mai amato in maniera sufficiente ed adeguata. In taluni casi giunge ad
aumentare tali richieste in modo esagerato ed incongruente, talvolta fino alla
definitiva rottura del rapporto affettivo da parte del partner.
La DA non necessariamente si manifesta
all’interno di una relazione di coppia, essa infatti può manifestarsi anche nei
confronti di un genitore o un altro familiare o ancora di una figura amicale o
di fronte a una persona d’autorità.
Alcuni studiosi hanno associato
la DA ad alcune particolari strutture della famiglia d’origine e
conseguentemente a vissuti relazionali precoci, quali fattori predisponenti
all’insorgere, a partire dall’adolescenza, di attaccamenti affettivi
disfunzionali.
Vengono così descritte famiglie
d’origine con legami invischiati o caratterizzate da relazioni fredde e legami
deboli; tali tratti concorrono nel
rendere difficile il raggiungere un sufficiente senso di fiducia ed
accudimento, producono comunicazioni e poco attente agli aspetti emotivi ed
affettivi. Si caratterizzano per assenza di figure di riferimento stabili ed
equilibrate, confusione dei ruoli, aggressività diffusa, fino a giungere, in
non pochi casi, a violenza tra coniugi e nei confronti dei figli.
Il quadro clinico della DA è
riconosciuto da poco tempo come patologico, si ipotizza per l'evoluzione socio-culturale della vita
famigliare, non più centrata, da qualche decennio, sulla necessità di
condividere spazi e attività lavorative e concorrere tutti all'andamento
economico della famglie allargata. Sembra degno di nota il manifestarsi oggi di
legami famigliari tendenti alla confusione dei confini di ruolo e generazionali
e spesso sintomatico di psicopatologia in comorbilità con la DA.
Coloro che ne sono affetti spesso
non si percepiscono dipendenti e tendono a sottovalutare i loro sintomi e
comportamenti, si rivolgono raramente ad un aiuto specialistico. In molti casi
cercano un aiuto per altri motivi, di natura fisica (classici disturbi
psicosomatici) o psichica (depressione, attacchi di panico, difficoltà di concentrazione, irritabilità) e
solo se entrano in contatto con uno specialista di dipendenze patologiche, dopo
un' attenta raccolta anamnestica e
un'acuta osservazione clinica, viene
fatta la diagnosi di DA.
La
co-dipendenza è stata descritta in un profilo di tipo clinico del Disturbo
co-dipendente di personalità ed indica i seguenti criteri diagnostici:
·
continuo investimento dell’autostima nella capacità di controllare sé e gli
altri nonostante l’evenienza di serie conseguenze negative;
·
assunzione di responsabilità per venire incontro ai bisogni degli altri
fino ad escludere il riconoscimento dei propri;
·
ansia e distorsioni del confine di sé in situazioni di intimità e di
separazione;
·
coinvolgimento in relazioni con soggetti affetti da disturbi di
personalità, dipendenza da sostanze, altra co-dipendenza o disturbi del
controllo degli impulsi.
Il caso
di co-dipendenza appare quando un soggetto con DA incontra e si lega ad un
altro soggetto con DA.
Si
manifestano complessi comportamenti relazionali che possono far si che si
instauri una relazione simbiotica, in cui entrambi i soggetti costruiscono un
pattern idilliaco della relazione dal quale escludono il mondo esterno oppure
una relazione faticosa e conflittuale in cui entrambi cercano di raggiungere
reciprocamente un controllo illusorio
sulla vita dell’altro.
Ogni
soggetto cerca di dimostrare, sia a sé che all’altro, tutta la sua capacità di
affetto ed accudimento e tenta, con
scarsi risultati, di costruire, sui suoi vissuti circa i bisogni dell’altro, la
propria autostima e il proprio valore.
In ogni
caso è bene ricorrere ad uno specialista al fine di comprendere meglio il
significato dei propri sintomi e del proprio malessere.
Qualora
si tratti di una prersona amica si consiglia di non fargli pesare la propria
condizione nè di dargli suggerimenti di comportamento perchè servirebbe a ben
poco, potrebbe anche sentirsi poco accolta.
La cosa
migliore per sè e per l’altro è di rivolgersi a un terapeuta, il quale potrà
suggerire il percorso più appropriato per ciascuno.
Non
esistono programmi prestabiliti da seguire, il progetto va costruito con il
parere dello specialista e l’apporto attivo del paziente.
martedì 12 gennaio 2021
lunedì 11 gennaio 2021
Droga e alcol sono sostanze psicoattive, la diagnosi, la cura e gli specialisti
Droga e alcol sono
sostanze psicoattive
Il contenuto di questo articolo ha l’obiettivo di comunicare il contenuto delle attuali considerazioni scientifiche delle problematiche relative agli effetti delle sostanze psicoattive, narrato in chiave divulgativa.
Sono considerate sostanze psicoattive o droghe: alcol,
allucinogeni, amfetamine, canapa (marijuana e hashish), cocaina, ecstasy (MDMA,
X, XTC, Adam), oppioidi (eroina, morfina), tabacco.
Sono sostanze capaci di agire sui meccanismi e i processi cerebrali, alterando i processi
di trasmissione dei segnali e delle informazioni tra le cellule nervose, così
da compromettere gli equilibri psicologici e i processi mentali.
Agiscono sulle emozioni, sui ricordi, sulle percezioni,
sulle abilità intellettive e sull’apprendimento, anche sulla motricità.
I disturbi correlati a sostanze comprendono i disturbi
secondari all’assunzione di una sostanza, pertanto si prevede che si possa
sviluppare una dipendenza, cioè un gruppo di sintomi cognitivi, comportamentali
e fisiologici indicativi che il soggetto continua a far uso di sostanze
nonostante la presenza di problemi significativi correlati alla sostanza.
La modalità di somministrazione risulta reiterata, usualmente
in tolleranza cioè assunta in quantità sempre maggiori per ottenere l’effetto
desiderato o l’intossicazione, astinenza e comportamento compulsivo di ricerca
e assunzione.
Le modalità di risposta di ognuno alle diverse sostanze
possono essere variabili e dipendere dalla storia dell’individuo, dai suoi
vissuti riguardo alle situazioni in cui si è trovato, dai tratti organici e
biologici di cui è dotato, dalle sue abitudini e dal comportamento.
Le strutture e le funzioni del cervello si differenziano
in ognuno e ciò spiega la diversità degli effetti e delle conseguenze del
consumo delle medesime sostanze psicoattive in individui diversi.
Le funzioni del cervello riflettono e codificano gli
stati emotivi, le variabili psico-sociali e stanno quindi alla base degli stati
mentali con cui però interagiscono e si modificano vicendevolmente.
Ciò significa che le nostre esperienze, emozioni, il
nostro bagaglio etico, hanno un ruolo anche di interazione con le strutture
biologiche cerebrali e perciò da alcuni studi è emerso che gli effetti delle
droghe si modificano nel tempo anche in uno stesso individuo e che possono
incidere sui meccanismi e le competenze del cervello, spesso ledendone alcune
funzioni.
Nella storia dell’umanità si ritrovano diverse situazioni
in cui emerge la ricerca di alterazioni degli stati mentali come se le persone
avessero cercato un aiuto per affrontare situazioni in modo meno oneroso.
Per quanto riguarda una valutazione da effettuare per la
diagnosi di un soggetto che si presume faccia uso di sostanze o alcol occorre
prendere in esame molte dimensioni della problematica.
E’ opportuno premettere che la valutazione diagnostica e
il progetto di cura viene effettuato da un’équipe
di specialisti esperti in dipendenze i quali si trovano negli ambulatori dei
servizi pubblici e nelle comunità terapeutiche.
Esistono anche strutture private con i relativi professionisti
che operano nel settore delle dipendenze.
I servizi del settore pubblico che si occupano delle
dipendenze si trovano nelle ASST Aziende SWocio Sanitarie Territoriali o ASL, Aziende Sanitarie Locali, e si chiamano SerT o
SerD , Servizi per le Tossicodipendenze o per le Dipendenze di cui fanno parte i
Noa, i Nuclei Operativi di Alcologia.
Le CT, Comunità Terapeutiche sono strutture spesso
convenzionate con la sanità pubblica (la retta è a carico dello Stato, il paziente deve essere in possesso di una certificazione dello stato di dipendenza rilasciata da un servizio pubblico - SerD ) ma ne esistono anche di private dove la
retta è a carico del paziente, si trovano sul territorio e spesso lavorano in
collaborazione con i Servizi per le Dipendenze.
Le professionalità che lavorano in questo settore sono
medici, psicologi, educatori, assistenti sociali, infermieri, assistenti
sanitari. I medici, gli psicologi e gli assistenti sociali formano il gruppo
che valuta gli aspetti medico-psichiatrici, psicologici, famigliari, sociali
della persona che fa uso di sostanze.
Il servizio pubblico formula una diagnosi
multidimensionale della situazione del paziente e valuta l’indice di gravità
della tossicodipendenza al fine di predisporre un progetto di cura appropriato.
Tale progetto, che è la conseguenza della diagnosi di
tossicodipendenza o di alcoldipendenza, andrà formulato tenendo conto della
motivazione del paziente e delle proprie risorse personali, famigliari e
sociali da mettere in atto per la cura.
Potrebbe contemplare un ricovero ospedaliero, un
trattamento ambulatoriale o un periodo da trascorrere in comunità oppure
comprendere tutte queste possibilità suddivise in ipotetiche fasi del percorso
di cura che si susseguono nel tempo.
Alla base di tutto questo ci deve essere una richiesta
chiara e motivata da parte del paziente che è considerato il protagonista del
percorso.
Nulla può essere pianificato senza aver prima, durante la
fase diagnostica, appurato chiaramente che in quel momento della vita per quel
paziente non solo c’è il bisogno ma anche la motivazione a intraprendere un percorso
che sarà impegnativo se avrà l’obiettivo di produrre dei risultati.
Tutto ciò che non è desiderato dal paziente stesso, in
questi casi, è destinato a non produrre dei risultati tangibili.
Se la questione della cura è stata indotta dall’ambiente
famigliare e sociale e non è giunto il momento della maturazione condivisa da
parte del paziente, è probabile che i risultati siano temporanei o addirittura
nulli.
La cura delle dipendenze, da sostanze e alcol in
particolare, presuppone non solo una disintossicazione ma soprattutto che la
persona si impegni dal punto di vista psichico e che metta in gioco la propria
emotività ma anche le proprie risorse cognitive per affrontare un cambiamento
di vita difficile e oneroso.
E’ fuori da ogni dubbio che abbia bisogno di aiuto e di supporto
sia da parte degli specialisti che delle figure significative della propria
vita e che il processo motivazionale sia possibile costruirlo in varie fasi ma
va messo in risalto cha la cura non significa assumere passivamente dei
farmaci, per esempio, ma occorre parteciparvi con tutti gli aspetti emotivi che
il paziente riesce a mettere in atto.
Gli aspetti medici che riguardano la disintossicazione
dalla sostanza, possono avvenire in breve tempo per alcuni casi, prevdere più
tempo per altri, ma l’importante è poi considerare il mantenimento
dell’astinenza con tutte le problematiche emotive che ciò comporta.
A questo punto entrano nel lavoro specialistico gli
aspetti della personalità del soggetto che devono essere trattati dallo
psicoterapeuta, spesso il programma prevede, se si tratta di un trattamento in
comunità, l’intervento dell’educatore che lo segue nelle attività previste che
possono riguardare gli aspetti organizzativi e relazionali della quotidianità.
Sembra che una diagnosi della personalità che preveda gli
aspetti evolutivi del paziente e che consideri anche le potenzialità cognitive,
affinchè egli arrivi a poter produrre da sè l’organizzazione della propria vita
relazionale e sociale, sia una parte importante di un progetto da costruire proprio
con il paziente stesso.
sabato 9 gennaio 2021
smettere di fumare 2a puntata il test di Fagestorm
Il problema principale
è che il fumo sia una dipendenza.
Ciò che provoca dipendenza innanzitutto è una sostanza
contenuta nella sigaretta: la nicotina. Attraverso la nicotina viene innescato
il circuito del piacere ed è anche per questo che al fumatore piace la
sigaretta.
Spesso la sigaretta aiuta in momenti imbarazzanti, di attesa,
in condizioni di stress dà un sollievo o riempie il tempo e i pensieri.
La sigaretta può essere una compagna in momenti
conviviali ma anche in momenti difficili , oppure in presenza di alcune persone
o in alcuni luoghi.
Queste possono essere solo alcune delle condizioni
psicologiche su cui vi invitiamo a riflettere per trovare la vostra motivazione
al fumo e comprendere perchè smettere potrebbe essere un sollievo.
La dipendenza psichica potrebbe essere rappresentata
dall’associazione del fumo a situazioni piacevoli oppure la sigaretta potrebbe
aiutare a superare o a far passare un momento spiacevole.
Alcuni fumatori sembano essere convinti che la sigaretta
possa aiutare le loro prestazioni intelletive, come la concentrazione o
l’attenzione. Non c’è nulla, di queste convinzioni, che sia provato
scientificamente. Questo non significa che non corrisponda a verità, diciamo
che sono sensazioni soggettive ed è proprio su queste che si può iniziare a
lavorare per pensare allontanarsi dalla sigaretta e trarne dei benefici.
L’unica dipendenza con denominatore comune a tutti i
fumatori è quella dalla nicotina, è difficile smettere solo per questo?
Sembrerebbe di no perchè alcuni studi hanno osservato che
dopo 2 giorni circa dall’ultima sigaretta fumata l’organismo ha eliminato la
nicotina in circolo e quindi la richiesta fisica è diminuita notevolmente, se
non eliminata.
Restano l’abitudine, la gestualità, il richiamo
situazionale, l’idea che manchi qualcosa, che la nostra immagine sia mutata
tanto da non riconoscerci senza la sigaretta.
Alcuni segnali di dipendenza e di gravità li ha
individuati Fagestrom, uno psicologo svedese che ha messo a punto un
questionario per detrminare il livello di gravità della dipendenza dal fumo.
Lo riportiamo di seguito con il rispettivo punteggio da
sommare.
1)
Quanto tempo dopo il risveglio
accendi la prima sigaretta?
-
Entro
5 minuti 3
-
Da
6 a 30 minuti 2
-
Da
31 a 60 minuti 1
-
Dopo
60 minuti 0
2)
Trovi difficoltà ad astenerti dal
fumo nei luoghi in cui è vietato?
-si 1
-no 0
3)
A quale
sigaretta rinunceresti con più difficoltà?
-
Alla
prima del mattino 1
-
A
un’altra 0
4)
Quante
sigarette fumi durante la giornata?
-
10
o meno 0
-
11-20 1
-
21-30 2
-
Più
di 30 3
5)
Fumi di più nelle prime ore dopo
il risveglio che durante il resto della giornata?
-
Si 1
-
No 0
6)
Fumi anche quando sei così malato da stare a letto per la maggior parte
della giornata?
-
Si 1
-
No 0
Il calcolo del pinteggio si riferisce a diverse
situazioni, pertanto a diversi livelli di gravità di dipendenza dal fumo.
0-2 punti
Dipendenza quasi nulla, si può smettere senza grandi
sacrifici e senza ricorrere a sostituti della nicotina
3-4
Dipendenza lieve, valgono le stesse considerazioni
precedenti
5-6
Dipendenza con gravità media, è sempre possibile
smettere, a volte servono accorgimenti piuttosto restrittivi
7-10
Dipendenza forte da nicotina. Potrebbero essere utili
anche dei supporti farmacologici
Dopo aver letto le nostre prime considerazioni e
calcolato il vostro livello di gravita potete riflettere per maturare la vostra
decisione.
Qualche pensiero sulla vostra situazione e sul vostro
desiderio di smettere potrebbe aiutarvi a prendere un impegno.
Qualora non riusciste a decidere di smettere oggi potete
sempre tenere fra gli archivi questo file e rileggerlo tra un pò di tempo.
venerdì 8 gennaio 2021
smettere di fumare 1a puntata
IL FUMO TI SPEGNE….
…..LE IDEE, LE RELAZIONI, IL BENESSERE…….
QUANTE VOLTE ABBIAMO PENSATO DI SMETTERE?
Siamo consapevoli dei
danni organici, ma ci sono anche motivazioni psicologiche che possono far
pensare a non voler più fumare.
Le profonde sensazioni di non accettazione dalla
sigaretta sia da parte nostra che degli altri costituiscono alcune delle tante
motivazioni che possono far pensare a non voler più fumare.
Considerando ciò che succede intorno a questo problema,
si può pensare di cercare un aiuto per eliminarlo.
Smettere di fumare vuol dire migliorare la propria vita
in tutti gli aspetti, dal benessere psicofisico alle relazioni con gli altri.
Occorre costruire la propria consapevolezza e riconoscere
le proprie motivazioni per affrontare il
problema con decisione.
Solo in questo modo è possibile intraprendere un percorso
che porterà a smettere di fumare.
Non vorrei più fumare
Di Annalisa Pistuddi
La decisione di smettere di fumare deve sottendere una
motivazione ben salda.
Non basta che gli altri ci esortino, che si prenda
coscienza delle malattie che il fumo provoca e che sono responsabili di
parecchie mortalità nei paesi occidentali, che nei luoghi pubblici sia vietato
fumare, che il nostro medico possa elencarci i vantaggi che potremmo trarre e
che potremmo sentire già da qualche giorno dall’ultima sigaretta.
Non esiste nemmeno un metodo che ha funzionato per tutti
i fumatori, una medicina, un oggetto o qualche comportamento da tenere che
siano la magica soluzione.
Sulla questione delle patologie organiche che possono
essere attribuibili al tabagismo è difficile convincere le persone che
potrebbero prevenirle se non fumassero perchè le solite risposte sono che ci
sono alcuni che si sono ammalati e non hanno mai fumato, che non è poi del tutto
provato che una malattia sia determinata solo dal fumo, e così via.
Il solo argomento del risparmio di soldi, anche in questo
periodo sociale, non sembra una motivazione abbastanza convincente.
L’esclusione per i fumatori dai posti pubblici forse ha aiutato
qualcuno a ridurre o a provare a rimandare di minuti, ore.
Tutta questa serie di ovvi motivi che potrebbero essere
anche ritenuti validi per smettere non fa molta presa se non ci si vuole
liberare definitivamente della sigaretta.
nel prossimo post sarà pubblicato il test per valutare lo stato di dipendenza
arrivederci a domani